Hai mai sentito parlare di “nomadismo digitale”? Scommetto di sì. Ma scommetto anche che, se ti chiedessi di spiegarmi di cosa si tratta, non sapresti farlo con esattezza. Forse balbetteresti qualcosa come “una persona che lavora viaggiando” oppure “un influencer di Instagram”…fuochino?
Mi dispiace deluderti, ma queste definizioni rappresentano una parte davvero minima di nomadi digitali.
Il nomadismo digitale è un movimento molto più ampio ed eterogeneo rispetto a quella che è l’immagine stereotipata che negli ultimi anni i social e i media ci hanno abituato a vedere.
In realtà, il collegamento diretto con il viaggio (e ancora di più quello con l’attività sui social media) sono solo occasionali. Non esiste una definizione univoca di nomadismo digitale, ma una cosa su cui tutti noi appartenenti a questo movimento concordiamo per certo è che si basa su tutt’altre cose. In particolare, sul concetto di libertà.
Nomadi digitali – chi sono veramente?
Se mi chiedi quindi cos’è un nomade digitale, forse il modo migliore di spiegartelo è questo: qualcuno che sceglie la libertà come principio cardine della propria vita.
Libertà di vivere e lavorare ovunque, di scegliere la propria strada verso la felicità e la realizzazione personale, di non farsi limitare dai confini geografici, ma nemmeno dalle aspettative della società (tanto meno quella che egli debba viaggiare per forza).
Il nomadismo digitale non è quindi un lavoro specifico, né una modalità di svolgerlo mentre si viaggia, e neppure una trovata di marketing per vendere raduni e corsi: è una filosofia di vita che si basa sulla ricerca della libertà, resa possibile dagli strumenti di cui il digitale ci ha dotato.
I nomadi digitali fanno i lavori più disparati, accomunati solo dal fatto che possono essere svolti senza limiti di spazio e di tempo attraverso un computer: sono copywriter, programmatori, designer, consulenti, insegnanti di yoga su Youtube, Content creator, CEO di aziende remote, responsabili HR, etc.
Molte volte si tratta di piccoli imprenditori, solopreneur o freelance, ma sempre più spesso sono lavoratori dipendenti in aziende piccole o grandi che credono nel remote work. Anzi, con l’attuale pandemia che ha spostato gli equilibri mondiali verso questo modo di lavorare, probabilmente questi diverranno molti di più.
Fonte: MerchantSavy
Molti viaggiano mentre lavorano, è vero. Possono spostarsi liberamente quindi lo fanno, tendenzialmente per andare a vivere e lavorare per periodi più o meno lunghi in luoghi diversi, stimolando così la creatività e facendo nuove conoscenze.
Però il tratto distintivo non è quello del viaggiare, ma del poterlo fare. Quella libertà di scegliere dove vivere in base a ciò che ci rende più felici e non dove ci obbliga un ufficio. Di poter stare in città per approfittare del movimento culturale che ne deriva, al mare, in montagna, in campagna, insomma ovunque tu decida per vivere uno stile di vita più sostenibile in base alle tue esigenze.
Inizi a capire quanta varietà ci sia in questo movimento? Se proprio ne vuoi una, prendo in prestito la definizione dal sito Nomadidigitali.it:
I Nomadi Digitali sono una nuova generazione di professionisti, che facendo leva sul proprio desiderio di libertà, indipendenza e di mobilità, utilizzano le tecnologie digitali per conquistarsi la libertà di poter vivere e lavorare da luoghi diversi nel mondo, ognuno seguendo le proprie motivazioni, ambizioni ed esigenze personali.
In questo articolo vorrei appunto accendere una luce su questo mondo tanto discusso ma così spesso non compreso, e cercare di fare chiarezza attraverso la mia personale esperienza e opinione su cosa sia (e soprattutto non sia) un nomade digitale.
Un viaggio nel nomadismo digitale
Ho sposato questa filosofia di vita da diversi anni ormai, e anche la mia, di definizione, è cambiata nel corso del tempo.
La prima volta che ho sentito questo termine ero poco più che una ragazzina che cercava di trovare la sua strada nel mondo del lavoro.
Capitando sul sito che racchiude un po’ l’anima italiana di questo movimento, Nomadidigitali.it, ho sentito un fortissimo senso di appartenenza: finalmente mi sono sentita meno sola. Non era solamente a me che l’idea di una vita passata in un ufficio dava i brividi, ce n’erano altri, tanti altri!
All’epoca ho anche io associato questo stile di vita con il viaggio: mi colpivano le foto che trovavo online di laptop appoggiati a un tavolino su una spiaggia caraibica, di persone sorridenti che lavoravano al computer in improbabili posizioni su un’amaca, e volevo essere una di esse.
Così, a 27 anni, ho deciso di inseguire quel sogno: ho lasciato il posto fisso per dedicarmi a quello che ho chiamato un “viaggio solo andata”.
Ho però presto scoperto sulla mia pelle quello che ho espresso poco fa: che viaggio e lavoro sono compatibili solo fino a un certo punto, e con determinate condizioni.
Spesso il tema del viaggio è l’amo che aggancia una persona che sente fremere dentro di sé il bisogno di libertà visto sopra. Un profondo desiderio di vivere la vita al massimo, di ricercare la felicità al di fuori dei canoni tradizionali, che spinge alla partenza un po’ come scusa per cambiare vita.
Ma la cosa di cui un aspirante nomade digitale si rende in fretta conto è che difficilmente potrà lavorare e viaggiare nel senso tradizionale del termine: gli spostamenti continui, gli alloggi scomodi, le scrivanie improvvisate, il riflesso del sole e del mare, e la totale impossibilità per la spina dorsale umana di lavorare comodamente da un’amaca, diventeranno presto insostenibili.
E così si finisce per capire qualcosa che cambierà la percezione del nomadismo digitale per sempre: non è il viaggio che fa il nomade digitale, ma il nomade digitale che fa il viaggio.
La libertà come bussola
Quando si sceglie di seguire il proprio desiderio di libertà come fosse la stella polare si scopre che il viaggio può fare o non fare parte del pacchetto.
Più importante del dove diventa il come si vuole vivere. Cosa ti rende felice? Come fare a ottenerlo?
Alla base di un percorso di nomadismo digitale ce n’è per forza uno di crescita personale, perché bisogna imparare a conoscersi, interrogarsi profondamente sui nostri principi guida e su come identificarli autonomamente, fuori da ciò che culturalmente reputiamo giusto o sbagliato.
In particolare ci sono 3 tipi di libertà a cui un nomade digitale tipicamente ambisce:
- La libertà geografica;
- La libertà temporale;
- La libertà professionale.
La libertà geografica
È la più evidente, quella di cui abbiamo parlato fino adesso: un nomade digitale ricerca la libertà geografica perché vuole poter scegliere il luogo più adatto a lui/lei.
Questo luogo dove decidiamo di stare può essere mutevole in base al ciclo di vita che stiamo vivendo.
Il nomade digitale rifiuta la stanzialità come modello di vita pre-impostato, vuole rimanere sempre libero di potersi muovere altrove se e quando ne sente il bisogno, senza rinunciare al suo lavoro, alla sua carriera, ai suoi affetti e alle cose che per lui contano di più.
Non sarà forse una libertà assoluta (potranno essere necessari compromessi familiari, o per lavorare con colleghi o clienti), ma quanto più possibile la capacità di non essere limitati nella scelta dei luoghi dal proprio lavoro, bensì il contrario: lavorare in un co-working o da casa, al mare o in montagna, nel proprio Paese o all’estero, etc.
La libertà temporale
Strettamente legata alla precedente è la libertà dei tempi del lavoro.
Come insegnano i dettami dello smart working, il lavoro non dovrebbe essere misurato in ore passate davanti a una scrivania o in un ufficio, ma in risultati raggiunti e compiti completati (task).
Questo passaggio epocale del modo di lavorare permette di fondare l’attività su una maggiore libertà, di responsabilizzare i lavoratori e renderli in un certo senso imprenditori, e di avere in ultima analisi maggiore produttività.
Ma soprattutto, la libertà temporale permette una maggiore felicità: potendo determinare liberamente e in base ai carichi di lavoro i tempi entro cui svolgerlo, si è in grado di coniugare meglio la vita privata con quella lavorativa, smettendo di vederle come due entità separate ma piuttosto complementari.
Fonte: MerchantSavy
La libertà professionale
In ultima analisi, tra gli obiettivi del nomade digitale c’è quello di essere libero di determinare le modalità della propria vita lavorativa.
Questo non significa che debba essere un lavoratore autonomo o che non possa far parte di un team e di un’azienda, anzi. Significa però essere padrone del proprio lavoro, e non schiavo di esso.
Hai mai sentito dire “ama il tuo lavoro e non lavorerai mai un giorno in vita tua”? Forse è una visione un po’ estrema, ma è un punto fondamentale: il nomadismo digitale come filosofia di vita vuole il lavoro come parte integrante e positiva dell’esistenza, qualcosa che sia di stimolo e non un vincolo.
Vivere da nomade digitale ti permette di seguire e far crescere la tua carriera professionale, senza dover scendere a compromessi e senza rinunciare alla libertà di poter seguire le tue passioni, rimuovendo così l’antica antitesi vita/lavoro. Vivere e lavorare ovunque tu decida di farlo è un esempio proprio di questa libertà.
Ma non solo: si tratta di lavorare per vivere, e non si vivere per lavorare. Di tracciare i propri confini, senza farsi governare dal denaro e dalla infinita corsa per averne di più, ma piuttosto trovando metodi per far valere maggiormente quello che si ha.
Ad esempio lavorando da luoghi dove il costo della vita è più basso (e non serve andare in Sud-est asiatico per trovarli); o ancora meglio, implementando il minimalismo nella propria vita, ovvero riducendo consapevolmente gli sprechi e le cose che non hanno un profondo impatto sulla nostra felicità; o ancora, rinunciare al possesso in favore del più democratico utilizzo (filosofia alla base della sharing economy).
Qualunque cosa che serva ad aumentare la libertà di cui siamo in cerca, invece di ridurla.
Smart working, lavoro da remoto e nomadismo digitale: conclusioni
Come vedi quindi, quello del nomadismo digitale è un mondo complesso, ma allo stesso tempo molto semplice. Non ci sono grandi requisiti per essere un nomade digitale, se non la voglia di esserlo e di sentirsi parte di questo movimento globale, che va nella direzione di un cambiamento nel modo di vivere e lavorare.
Troppo spesso cadiamo nella semplificazione e nello stereotipo, identificando il nomade digitale con qualcosa che può essere ma non è necessario che sia: un viaggiatore.
Ma ora il tempo è maturo perché finalmente si cominci ad afferrare la vera essenza di questa filosofia di vita: il Covid-19 ha sdoganato il lavoro da remoto, spingendo molte aziende a implementare lo smart working e a comprenderne i reali benefici.
Report Upwork “Remote workers on the move”
Le statistiche di quest’anno parlano chiaro, e l’espansione del lavoro a distanza, esplosa a causa della pandemia, non sembra destinata a rientrare. Secondo i dati del più recente rapporto del World Economic Forum, entro i prossimi 5 anni, circa il 44% della forza lavoro globale opererà da remoto. Questo porterà ad importanti cambiamenti sociali ed economici, e genererà tantissime nuove opportunità – soprattutto per il nomadismo digitale.
Ora come ora, e ancora di più nel prossimo futuro, praticamente chiunque può essere un nomade digitale nella sua essenza lavorativa: il vicino di casa che lavora dal proprio terrazzo, lo zio che si reca nella casa al mare, l’amico che prova uno spazio di co-working.
La vera appartenenza a questo movimento però è determinata dall’avere il coraggio di andare oltre ciò che già conosciamo, e la voglia di esplorare nuovi modi di essere, di fare, di pensare, di lavorare e di vivere. Se senti tutto questo, e se l’obiettivo che ti traina è avere la libertà di vivere e lavorare ovunque, allora complimenti: ce l’hai fatta, sei un nomade digitale.